domenica 28 dicembre 2014

Francesco Gennari a Firenze fino al 3 gennaio

Se in questi ultimi giorni del 2014 vi trovate a Firenze non perdete la prima antologica di Francesco Gennari (Pesaro, 1973) in un museo italiano. Noto in modo particolare per i suoi lavori scultorei, è proprio il museo dedicato a uno dei più grandi scultori italiani del Novecento, Marino Marini, a ospitarne la mostra curata da Alberto Salvadori.

francesco gennari firenze

Gennari è uno dei miei artisti italiani preferiti soprattutto per la profondità della sua ricerca, che da anni porta avanti con coerenza e grande cultura. Partendo dall’osservazione del reale, ne ripropone la sua personale versione attraverso una nuova creazione, una specie di azione demiurgica che nasce dall’intuizione e si sviluppa grazie alla ragione. Sono soprattutto le dimensioni intangibili, come il vuoto, l’assenza, ad incuriosirlo e a stimolare i desiderio di renderle materiali, visibili.


Un altro aspetto per cui ammiro Gennari è la sua abilità nell’affrontare e dedicarsi a diverse tecniche e medium espressivi. Dalla fotografia alla scultura al disegno, ciascun lavoro trova una perfetta collocazione in un corpus di opere ricco e personalissimo. In molti casi si serve dell’aiuto sapiente dei migliori artigiani italiani, depositari delle antiche tecniche di lavorazione del marmo e del vetro. Per le opere presentate a Firenze sono nate nuove collaborazioni con i maestri vetrai di Murano e i maestri del marmo di Carrara.

francesco gennari firenze

Una visita al Museo Marini Marini è necessaria per chi non conosce Francesco Gennari, validissimo artista, perché avrà modo di avvicinarsi alla sua opera dagli esordi alle ultime creazioni. Per chi invece già lo ama sarà un momento prezioso per vedere finalmente raccolte tutte le sue ricerche.

Francesco Gennari
a cura di Alberto Salvadori
fino al 3 gennaio
Museo Marino Marini

Piazza San Pancrazio, Firenze


www.museomarinomarini.it

photo credits: Dario Lasagni

martedì 23 dicembre 2014

La cultura iraniana in mostra al MAXXI di Roma


Una delle mostre che più mi incuriosisce e che spero di poter visitare presto ha inaugurato una decina di giorni fa a Roma, proprio mentre trapelavano nuovi scandali e fiorivano le indagini. La ospita il MAXXI, museo che genera sempre molte aspettative salvo poi spesso deluderle. Spero non sia questo il caso, ma mi pare che le premesse siano ottime dato che si tratta di una coproduzione con il Musée d’Art Moderne de la Ville de Parisattraverso il team di curatori Catherine David, Odile Burluraux, Morad Montazami, Narmine Sadeg e Vali Mahlouji.

Ad attirarmi è chiaramente il tema: Unedited History. Iran 1969-2014 racconta attraverso 200 opere la cultura visuale dell'Iran dagli anni Sessanta ad oggi. Questo numero mi spaventa, temo il rischio della dispersione, ma la suddivisione in diverse sezioni mi sembra possa agevolare la fruizione. Il concept della mostra si esprime nel titolo, che vuole dare l'idea di una storia raccontata in maniera oggettiva perché "unedited", non montata, come si direbbe nel linguaggio cinematografico. Solo mettendo insieme i frammenti si ricompone il discorso.

Morteza Avini
Morteza Avini, Aqiqat, 1980
La prima sezione racconta gli anni della “modernizzazione” dal 1960 al 1978, quando in Iran la cultura si sviluppa notevolmente grazie alla nascita di eventi di rielievo internazionale, come le biennali e di istituzioni come il Museo d'Arte Contemporanea di Teheran. Sono gli anni in cui gli intellettuali iraniani ragionano sulla definizione di un'arte non occidentale o non occidentalizzata. Domina la sezione Bahaman Mohassess (1931-2010), nei cui dipinti è chiara la provenienza dal mondo della scultura e dove Roma è protagonista. Proprio nella città eterna Mohassess ha studiato e sceglie di vivere auto isolandosi fino alla morte avvenuta nel 2010.
Kaveh Golestan
Kaveh Golestan
La seconda sezione riguarda gli anni della Rivoluzione e della guerra Iran-Iraq fra il 1979 e il 1988. In questo periodo si sviluppano in modo particolare le pratiche legate alla documentazione attraverso fotografia, video e cinema, dove nascono per la prima volta scene di mobilitazioni di massa. La forte contrapposizione alla lettura ufficiale degli eventi nascono piccole realtà clandestine che si occupano anche di archiviare il materiale di protesta. Il reportage diventa più crudo e realistico nel video di Morteza Avini (1947-1993), Haqiqat (Verità), realizzato usando una telecamera portatile e intervistando attraverso una voce fuori campo quei soldati destinati a sacrificarsi per gli ideali della Rivoluzione.

L'ultima sezione cerca di individuare le prospettive contemporanee, dalla fine della guerra con l'Iraq a oggi (1989-2014). Le nuove generazioni di artisti sono sempre più attirate dalla cultura europea e si trasferiscono in Europa alla scoperta di un approccio all'arte più aperto di quello appreso in Iran fino agli anni Ottanta. Gradualmente il capitalismo cerca di integrarsi alla cultura islamica e anche chi sceglie di rimanenere in patria guarda alle richieste del mercato internazionale. Resta forte la tradizione della fotografia documentaria nata negli anni Settanta, in opposizione alle immagini della moda e della pubblicità, con gli eredi di Bahman Jalali e Kaveh Golestan
Barbad Golshiri
Barbad Golshiri, Tomb sans titre, 2012
Sono curioso di vedere dal vivo l'opera di Barbad Golshiri (1982), artista che grazie a Claudia Gian Ferrari ho avuto modo di conoscere ancora in tempi non sospetti per la mia avventura da collezionista. Si tratta di un omaggio a un uomo morto per motivi politici, tema assai caro a Golshiri, per il quale ha costruito una tomba-sarcofago sotto forma di stencil di ferro, costituito da lastre trasportabili che creano una lapide temporanea il cui epitaffio si ottiene spargendo la lastra di cenere e lasciandone quindi il segno sul pavimento. Poesia pura.
La mostra è aperta fino al 29 marzo 2015, non perdetela.



martedì 16 dicembre 2014

Sandro Kopp da Otto Zoo ci mostra il ritratto nell'epoca del digitale

Ha inaugurato qualche giorno fa da Otto Zoo - e vi consiglio di non perdervela - la prima personale italiana di Sandro Kopp (Heidelberg, 1978), artista dalle radici neozelandesi e tedesche che già lavora con galleristi del calibro di Lehmann Maupin a New York e Victoria Miro a Londra.

Come può il ritratto, il più classico dei generi della pittura figurativa, avere nuova vita nell’epoca della digitalizzazione estrema? Kopp accetta la sfida e presenta da Otto Zoo due serie di lavori focalizzati intorno alla figura umana.

La prima, The new me, è una serie di autoritratti dipinti allo specchio, uno per ogni giorno del mese lunare. Un ciclo che Kopp aveva già prodotto cinque anni fa e che lascia intendere come talvolta sia impossibile autodescriversi se non in modo frammentario e incompleto.

Il secondo nucleo di opere, You are there, è costituito da ritratti realizzati attraverso Skype. Il medium tecnologico consente di connettere e lavorare con amici in ogni parte del mondo, ma per Kopp è indispensabile mantenere il legame con l’elemento naturale. Per questo motivo, terminata la conversazione-posa, chiede al proprio modello di inviargli una fotografia scattata in un contesto naturale e significativo, spunto primario per ciascuno dei ritratti. 

Non manca una riflessione sulla condizione apolide dell’artista, la cui identità si emancipa definitivamente dal concetto di identità geografica e nazionale grazie alla tecnologia.



Otto Zoo
Via Vigevano, 8 - Milano
info@ottozoo.com

Potete visitare la mostra con questi orari:
fino al 20 dicembre dal lunedì al sabato dalle 14.00 alle 19.00
dal 7 al 17 gennaio dal mercoledì al sabato dalle 14.00 alle 19.00

mercoledì 3 dicembre 2014

Ancora qualche giorno per Irwin e Turrell a Villa Panza

Quando lo scorso anno inaugurò a Villa Panza la mostra di Robert Irvin e James Turrell AISTHESIS. All’origine delle sensazioni con l’intenzione di durare ben 11 mesi mi sembrò una scelta impegnativa e coraggiosa. Ora la proroga fino all’8 dicembre dimostra la lungimiranza dei curatori e celebra il successo meritato per questa doppia personale che prosegue idealmente il lavoro di ricerca di Giuseppe Panza di Biumo, esempio di collezionista dal fiuto ineguagliabile.


Robert Irwin, Varese Window Room, 1973
Fu Panza, ormai quarant’anni fa, a volere gli allora giovanissimi artisti americani in Italia. Nacquero in questo modo opere come Varese Window Room (1973) di Robert Irwin, una finestra che incornicia un grande albero offrendo un’immagine diversa in ogni momento della giornata e in ogni stagione. O come Sky Space I (1974) di James Turrell: una stanza completamente vuota e bianca con un varco quadrato sul soffitto dove la porzione di cielo visibile diventa un dipinto variabile a seconda delle sfumature del cielo.

James Turrell, Sky Space I, 1974
Opere eccezionali ormai entrate nella storia, ma attualissime perché invitano a ritagliarci il tempo per osservare le cose e entrare in simbiosi con esse, lavorando sull’origine delle sensazioni, come recita il titolo della mostra. E la continuità fra le opere della collezione permanente e gli interventi site-specific di Irwin e Turrell è entusiasmante. Passato e presente si fondono per celebrare le potenzialità della luce come medium creativo, l’idea di opera d’arte come esperienza totalizzante e immersiva e il rapporto viscerale fra arte e architettura. 


James Turrell, Sight Unseen, Villa Panza, 2013
Se in questo lungo anno di mostra non avete mai fatto un salto a Varese per Villa Panza non perdete l’occasione in quest’ultimo weekend. Se ci siete già stati, magari in primavera o estate, immaginate come la vostra esperienza possa essere diversa sotto il timido cielo invernale. Oppure tornate per rivivere l’esperienza del Ganzfeld di Turrell, regalando ai vostri sensi qualche istante di corto circuito ed uscendo nuovamente estasiati dalla mostra dell’anno

mercoledì 19 novembre 2014

Settimana intensa a Milano per le gallerie: ecco una selezione di ciò che non dovreste proprio perdere!

Archiviata la serie di fiere internazionali, non c’è riposo per le gallerie milanesi che ripartono con il secondo opening autunnale. Ecco qualche indicazione sulle mostre che di certo non perderò.


Ha aperto le danze ieri Riccardo Crespi, con la seconda personale di Roee Rosen in Italia. L’artista israelo-americano mi piace molto per due motivi: la ricchezza dei suoi progetti, che incrociano spesso medium e tecniche differenti e l’ironia intelligente con la quale gioca a esplorare le zone di confine dell’identità creando diversi alter ego, tutti con un atteggiamento politicamente scorretto. Protagonista di questa mostra è Maxim Komar-Myskin, presunto artista ex- sovietico e paranoico che tortura e punta all’assassinio di Vladimir Putin per mezzo di oggetti animati.


Oggi tocca a Massimo De Carlo, che presenta per la seconda volta a Milano le opere di Marvin Gaye Chetwynd. L’artista inglese si trasforma in una burattinaia che dà vita a performance surreali e senza regole, dove le categorie di spazio e tempo vengono meno e lo spettatore si trova in bilico fra una scenografia teatrale e una seduta psicanalitica. Preparatevi a mettere in discussione ogni singolo aspetto della vostra vita.


Inaugura questa sera anche la prima personale dell’artista rumeno Serban Savu, uno degli esponenti più importanti del celebre gruppo di pittori di Cluj-Napoca da Monica De Cardenas. I suoi dipinti ritraggono con un punto di vista rialzato e distante la realtà quotidiana in Romania: palazzi di cemento, dighe, ponti e altre infrastrutture sono il segno tangibile del passato comunista del paese.


Raffaella Cortese sceglie invece per la serata di giovedì 20 l’artista francese Mathilde Rosier, il cui lavoro si concentra sulla danza, la musica e la gestualità. I suoi ballerini diventano acrobati con il pretesto di ragionare sul tema della caduta come perdita del comune senso di percezione, una confusione che porta a un momentaneo smarrimento d’ell’identità sia personale che collettiva, ma che al tempo stesso può essere un pretesto per rinascere e diventare altro. Non mancate alla performance che l'artista ha preparato per l'inaugurazione!
Lo spazio di via Stradella 1 ospiterà T.J. Wilcox che presenta per la prima volta il film The Tales of Hoffmann, con musica e voci del Metropolitan Opera di New York.


Sempre domani sera alla galleria kaufmann repetto aprirà la mostra intitolata Model, personale di Talia Chetrit. Fotografie e video sono chiamati a svelare le dinamiche segrete che si instaurano fra soggetto e fotografo. I protagonisti inconsapevoli sono infatti i genitori dell’artista, ripresi nella consapevole e completa violazione dell’intimità familiare. La narrazione di ciò che accade dietro le quinte dello shooting mostra ciò che normalmente rimane fuori dalla fotografia. I lavori svelano la visione dell’artista, innocente e voyeuristica, una curiosità alla ricerca di forme e legami, e che ci permette di cogliere gli sguardi tra i genitori, espliciti e intimi, le loro pose davanti alla macchina fotografica, e il loro atteggiarsi a modelli.

Insomma, c'è l'imbarazzo della scelta e come sempre Milano si conferma frizzante. Buon tour!


Tutte le info in breve:
Galleria Riccardo Crespi
via Mellerio 1
Milano
Pasta alla Putinesca. "Vladimir’s Night" e "Astrological Paranoia”
19 Novembre 2014 - 17 Gennaio 2015

Massimo De Carlo
Via Giovanni Ventura 5
Milano
Marvin Gaye Chetwynd. Bat Opera 2
20 novembre – 10 gennaio

Galleria Monica De Cardenas
Via Francesco Viganò 4
Milano
Serban Savu. Sometimes my Eyes are the Eyes of a Stranger
19 novembre - 17 gennaio 2015

Galleria Raffaella Cortese 
Via Stradella 1, 4, 7
Milano
Mathilde Rosier e T.J. Wilcox
20 novembre 2014 - 14 febbraio 2015


kaufman repetto 
Via di Porta Tenaglia 7
Milano 
Talia Chetrit. Model
21 novembre – 10 gennaio

venerdì 14 novembre 2014

Toots Zynsky a Palazzo Loredan a Venezia

È possibile coniugare la storia con il contemporaneo? Certo, anzi ben vengano queste contaminazioni quando il risultato si avvicina alla proposta di Caterina Tognon, che a Venezia ha coinvolto l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti per una mostra personale dell’artista americana Toots Zynsky (Boston, 1951).



Camminando attraverso le stanze del quattrocentesco Palazzo Loredan in Campo Santo Stefano potrete osservare fino all’8 dicembre le sue eleganti ciotole in vetro, nate da trent’anni di sperimentazione sulla manipolazione artigianale del materiale, dalla soffiatura alla colatura fino alla vetrofusione, che l’hanno condotta all’invenzione della tecnica filet-de-verre. Grandi quantità di sottilissimi fili di vetro colorato (proveniente da Murano, of course) vengono sovrapposti su un piano di ceramica refrattaria come fossero i contorni di un disegno. Quando l’immagine la soddisfa, l’artista avvia la fase di termofusione in un forno elettrico, dove i fili sono ancora sotto forma di un’unica lastra. È qui che interviene il talento: Toots Zynsky plasma la materia lavorandola manualmente, creando onde e curvature dalle forme che hanno un che di barocco, capovolgendo talvolta le ciotole per permettere alla forza di gravità di agire.
 


Se dovessi definire Zynsky con una parola direi.. tenace. Per decenni ha rincorso l’idea di poter partire dai filamenti colorati per ottenere questi oggetti tridimensionali, vere e proprie sculture astratte di vetro, attraverso le quali indaga la relazione estetica fra interno ed esterno, quasi a voler vincere la sfida di riuscire a percepire l’idea del vuoto e del pieno contestualmente. Proprio su questo rapporto si giocano non solo l’ideazione e la realizzazione delle ciotole, ma anche la loro fruizione. Parafrasando Arthur Danto, possiamo immaginarle come dei fiori che stanno per sbocciare, dei quali desideriamo godere tanto dei morbidi e coloratissimi petali quanto del loro cuore.





Vi invito a non lasciarvi scappare l’occasione di poter visitare gratuitamente uno dei più bei palazzi di Venezia, perdendovi fra libri e mobili antichi e lasciandovi rapire dalle macchie di colore di Toots Zynsky.


Toots Zynsky a Palazzo Loredan
Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia
fino all'8 dicembre 
tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00
Progetto: Caterina Tognon


mercoledì 12 novembre 2014

La mia pagella per Artissima 2014

Come ho scritto qualche giorno fa nella mia breve guida, Artissima a Torino è un appuntamento imprescindibile, la fiera italiana più frizzante e attiva che non manifesta per niente la sua età. Nata nel 1994, quando le fiere erano pochissime e a frequentarle erano solo pochi addetti ai lavori, dimostra dopo vent’anni di essere ancora attenta alle novità.

Da quello che ho potuto vedere in una toccata e fuga rapidissima la caratteristica principale di questa edizione è stata la presenza importante di gallerie straniere, provenienti dal Sudamerica e all’Est Europa, molte alla loro prima apparizione torinese. Un ottimo segnale che conferma la lungimiranza degli organizzatori e anche un po’ di coraggio, data la tendenza di molti collezionisti italiani ad acquistare Made in Italy quando restano nel proprio paese, come confermano molti galleristi. Nel complesso darei quindi un 8 alla selezione delle gallerie della direttrice Sarah Cosulich Canarutto.

Voto 7 e mezzo alla qualità delle opere: grandi nomi e grandi conferme, molta varietà, ma niente che mi abbia rubato il cuore e soprattutto niente che i miei occhi non avessero già visto ultimamente. Mi è parsa una fiera piuttosto prudente sotto questo aspetto e in alcuni casi l’eterogeneità delle proposte negava la possibilità di trovare un filo rosso nello stand. Pochi i concept veramente forti e innovativi, ciononostante ho trovato che molti stand riuscissero ad essere eleganti come ad esempio quello di Tucci Russo, una garanzia.


Di conseguenza do un 6 e mezzo alla sezione Present Future: non ho avvertito tutta quella spinta alla sperimentazione promessa dai comunicati pre fiera.

Al contrario, do un bell'8 e mezzo alla sezione Back to the Future: vien da sé che in momenti di crisi è più facile guardare al passato, ma alcuni spazi come quello di Camera 16 dedicato interamente a Ugo La Pietra meritavano veramente di soffermarsi. Fra l'altro, come è già successo a Londra per Frieze Masters, pare che sia la sezione con i migliori risultati di vendita. Inserirei honoris causa anche lo stand di Caterina Tognon in questa sezione (anche se ufficialmente si trovava nella main section) per la sua scelta di proiettare i visitatori nella Praga anni Settanta grazie agli splendidi vetri di Cigler e alle fotografie di Jan Svoboda, poeta di nature morte.

Voto 9 alla scelta di inserire finalmente una sezione dedicata alla performance con Per4m, inaugurata da Marcello Maloberti sulla scia del lavoro presentato all’ultima Biennale di Venezia e molto chiacchierata grazie a Nico Vascellari che si è gettato fra le auto in corso nel piazzale del Lingotto con una scioccante indifferenza.

Ecco una breve carrellata di scatti che ho fatto qua e là. Enjoy!

















giovedì 6 novembre 2014

Sei a Londra? Non perdere Cerith Wyn Evans alla Serpentine!

L'avevo segnalata anche nel mio vademecum per Frieze e pubblico oggi qualche foto in più per ricordare a chi non sarà a Torino ma ha la fortuna di essere a Londra nel weekend di non perdersi la mostra di Cerith Wyn Evans alla Serpentine Gallery che chiude questa domenica.
Il suono e la luce diventano per Wyn Evans medium intangibili ma allo stesso tempo pervasivi, come in una passeggiata coreografica attraverso gli spazi della galleria illuminati da scenografici lampadari e frasi al neon che parlano e scorrono come un fregio greco.











mercoledì 5 novembre 2014

Novembre: tempo di pioggia ma anche di Artissima

E così novembre è arrivato. Ha portato con sé una pioggia torrenziale, è vero, ma questo non ci impedirà di trascorrere il prossimo weekend a Torino. La città è già in fermento, è tempo di Artissima. Da sempre è la fiera che preferisco: vicina ma non provinciale (la prova che anche in Italia gli eventi possono essere di qualità), fresca e giovane nelle proposte, ma allo stesso tempo solida e affidabile.

Per prepararci a questi giorni intensissimi ecco come di consueto una breve guida a ciò che circonda la main fair, dove troveremo le gallerie più interessanti a livello internazionale e la sezione new entries, dedicata alle gallerie più giovani. Confermate anche le ormai classiche Back to the Future (perché un po’ di nostalgia per il passato c’è sempre) e Present Future (piattaforma di lancio per i nuovi talenti).

Novità di quest’anno è Per4m, la sezione dedicata alla performance introdotta anche dall’ultima edizione di Frieze con Live. 16 lavori performativi, 4 per ogni giornata di apertura della fiera, verranno presentati in una location dedicata dell’Oval per dare spazio a quegli artisti che utilizzano la performance come medium privilegiato o comunque in modo continuativo. A Per4m è associato anche un premio assegnato dalla giuria internazionale, non vedo l’ora di conoscere il vincitore!

I tre curatori di Shit and Die a Palazzo Cavour
Fuori fiera: da non perdere la già chiacchieratissima mostra curata da Maurizio Cattelan (con Myriam Ben Salah e Marta Papini) nello storico Palazzo Cavour: Shit and Die è il titolo provocatorio ispirato a un neon di Bruce Nauman e scelto dall’ex artista (o almeno così gli piace farci credere) per raccontare in sette sezioni diversi aspetti della città di Torino, come il suo passato di città industriale ormai in declino, la fascinazione per il collezionismo, il feticismo per gli oggetti, insieme al lavoro di artisti torinesi e produzioni site specific, commissionate per l'occasione. Protagoniste la vita e la morte, da cui nessuno, né noi né Nietzsche né Camillo Cavour ha scampo.

Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo continuano le tre mostre in corso: la collettiva Beware Wet Paint, una riflessione sullo stato della pittura contemporanea e i solo show del giovane David Ostrowski (1982, Colonia) e di Isa Genzken (1949, Bad Oldesloe).

Al Castello di Rivoli proseguono le mostre Intenzione manifesta. Il disegno in tutte le sue forme e la personale di Sophie Call MAdRE. Da venerdì saranno visibili anche le opere realizzate grazie al  Premio Illy 2013, aggiudicato ex aequo all’artista francese Caroline Achaintre e a Fatma Bucak, di nazionalità turca, selezionate nell’ambito della scorsa edizione di Present Future di Artissima.

Appuntamento con i Masbedo alla Fondazione Merz
La Fondazione Merz presenta un progetto dei Masbedo, Todestriebe: i 9 video - alcuni inediti, mentre altri ripercorrono la carriera della coppia di artisti - sono concepiti come un’unica grande installazione in cui immergersi completamente per riflettere sul tema dell’incomunicabilità. Il progetto nasce sulla scia di The Lack, primo film dei Masbedo, presentato recentemente alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Giornate degli Autori. Come da tradizione la Fondazione ha invitato il duo a dialogare con la figura e l’opera di Mario Merz: prendendo spunto dal video Lumaca, realizzato da Gerry Schum nel 1970, in cui l’artista torinese disegna una spirale su un vetro è nata un’opera collettiva dal formato installativo che coinvolge diversi video artisti internazionali (tra cui Jan Fabre, Marzia Migliora, Catherine Sullivan, Nicolas Provost, Sigalit Landau, Shaun Gladwell, Damir Ocko, Emmanuelle Antille, Rä Di Martino, Gianluca e Massimiliano De Serio).

Per i più “selvaggi” torna per il quinto anno The Others, la sezione off della fiera riservata a tutti gli operatori (spazi espositivi anche no profit, fondazioni, curatori, progetti editoriali e quant’altro) la cui programmazione è dedicata esclusivamente ai giovani artisti, chiamati a indagare The Wild Side. Nell’ottica di superare il classico concetto di stand fieristico e generare un percorso di visita vario, dinamico e il più ampio possibile il fee di partecipazione è stato notevolmente ridotto in modo da coinvolgere più realtà.

In ultimo, per gli amanti della storia dell’arte è riconfermata Flashback, con un fitto panel di incontri sul restauro, sulla convivenza di antico e contemporaneo, sulle potenzialità della rete e sulle agevolazioni fiscali per l’aquisto o la donazione di opere d’arte (bel tema!). Non mancherà anche qui il coinvolgimento performativo con due interventi dell’artista Alessandro Bulgini domani e venerdì alle 17.00.

Ci vediamo a Torino!

domenica 2 novembre 2014

Cosa penso di Art or Sound alla Fondazione Prada di Venezia

Art or Sound, la mostra curata da Germano Celant alla Fondazione Prada di Venezia chiude domani. Ha accompagnato l’estate della Laguna come curioso e saporito contorno della Biennale Architettura e come da copione ha diviso la critica fra detrattori ed estasiati sostenitori. È chiaro che in medio stat virtus, quindi ecco cosa penso di una mostra che ha sicuramente degli aspetti da migliorare, ma che ritengo vada premiata.

Andiamo per ordine e partiamo dal concept. L’idea di Celant era quella di indagare il rapporto fra arte e suono non in quanto antitesi (nonostante la congiunzione avversativa del titolo, al quale forse avrei aggiunto un punto di domanda), bensì come potenziale dialogo fra la dimensione puramente visiva del nostro meccanismo di conoscenza e la necessità di stimolare anche gli altri sensi. L’udito, ovviamente, ma anche il tatto, premiando la multisensorialità e invitando lo spettatore all’interazione. Un progetto indubbiamente affascinante e ambizioso, un lavoro di ricerca al quale forse ci stiamo disabituando, dove vengono coinvolti nomi talvolta un po’ scontati e altisonanti, ma anche qualche più giovane e interessante scoperta. Primi punti a favore.

Art or Sound, installation view, foto Attilio Maranzano, courtesy Fondazione Prada
Certo, nell’immensità del tema scelto e del periodo preso in considerazione (si va dal Cinquecento ai giorni nostri, passando ovviamente per le avanguardie) era inevitabile incappare in qualche scivolone e in alcune promesse disattese. Per quanto gli spazi fossero ampissimi (perché per la prima volta estesi anche al secondo piano nobile della sede di Ca’ Corner della Regina), l’impressione talvolta era quella di trovarsi costretti a causa dell’innumerevole quantità di strumenti e opere scelte, col rischio di sentirsi proiettati in un mercatino dell’antiquariato. Una pecca che comunque si può perdonare: non capita tutti i giorni di aggirarsi fra fabbricati preziosi, automi, orologi, gabbie per uccelli canori, carrozze con organi e dispositivi musicali automatici del XIX secolo. Una sorta di wunderkammern che proprio per definizione può essere ridondante e stipata di oggetti.

Art-or-Sound, foto Attilio Maranzano, courtesy Fondazione Prada
Dal punto di vista del percorso storico è difficile seguire la linea del tempo, ma dubito fosse negli intenti di Celant che dichiaratamente aveva l’intenzione di uscire dalla museologia tradizionale. Non manca niente: dall’intonarumori di Luigi Russolo ricostruito da Pietro Verardo, ai metronomi di Man Ray (Indestructible object, 1923) e Salvador Dalì (1944), attraverso le sperimentazioni di John Cage, Fluxus, i nouveaux realistes fino ai più contemporanei Martin Creed, Céleste Boursier-Mougenot e Haroon Mirza. La lista sembra infinita ed è davvero difficile scegliere a causa dell’eterogeneità e dell’abbondanza delle proposte. C'è anche uno dei miei artisti preferiti, ovviamente indiano: Subdoh Gupta, con Jutha (2005), tre lavelli di acciaio inox contenenti utensili di alluminio rubati alla vita quotidiana, che producono suoni grazie ad alcuni altoparlanti. Una riflessione sui profondi cambiamenti sociali ed economici del suo paese d'origine.

Subdoh Gupta, Jutha, 2005 @ Art or Sound, Fondazione Prada Venezia
Manca l’interazione promessa, ho letto e sentito da qualcuno. Effettivamente in confronto ai 180 pezzi esposti sono poche le opere che invitano il pubblico a interagire e ad azionarle. Fra queste c’è Laurie Anderson con il suo Handphone Table, un tavolo di legno che trasforma i nostri avambracci e le mani in conduttori di suono, se vi appoggiamo i gomiti. C’è la delicata scultura-strumento di Doung Aitken, Marble Sonic Table: un altro tavolo, attorno al quale i visitatori sono invitati a sedersi e picchiettare su delle lastre di marmo che producono dei suoni come fosse uno xilofono. 

Il funzionamento di Handphone Table di Laurie Andreson, 1979
 C’è poi la consolle di Carsten Nicolai (conosciuto anche come Alva Noto) dove abbiamo la possibilità di sperimentare infiniti soundloops con 4 piatti di giradischi integrati. O meglio, "avremmo la possibilità": nel corso della mostra è stato necessario negare l’attivazione da parte del visitatore, al quale non restava che ascoltare in cuffia i suoni scaturiti dai movimenti di un addetto alla sala poiché l’opera è stata danneggiata. Ecco, forse il pubblico non è ancora pronto all’interazione rispettosa e permettere di toccare e manipolare tutti gli strumenti avrebbe generato una sorta di ingestibile circo, favorendo l’entertainment piuttosto che la riflessione sulla ricerca e sul valore della mostra. Perfettibile, ma sicuramente degna di essere vista. E sentita.

 
Concerto con l'intonarumori di Luigi Russolo: 


mercoledì 29 ottobre 2014

Joan Jonas ha conquistato l'Hangar Bicocca


Non l’avremmo più lasciata andare via. Joan Jonas, piccolo folletto bianco, ci ha stregato ancora una volta con Reanimation, un progetto nato nel 2010 e ripensato due anni fa per Documenta, ora rivisitato e arricchito per Hangar Bicocca, accogliendo l’invito di Andrea Lissoni a esibirsi in occasione della mostra Light Time Tales.

Io nei suoi gesti e nella sua voce mi sono letteralmente perso, non saprei dirvi nemmeno quanto è durata la performance perché è bastato un attimo per sentirmi proiettato in una dimensione lontana e atemporale. Sono stati gli applausi di chi mi circondava a farmi capire che la magia si era interrotta, e allora mi sono unito alla doverosa standing ovation. Il minimo che potessi fare per restituire a Joan parte della forza vitale che mi aveva appena regalato.

Joan-Jonas-performance
Joan Jonas, Reanimation, 2014, performance alla Fondazione Hangar Bicocca (Foto: Matteo Scarpellini)
Ho seguito le sue mani piccole e nervose rincorrere con tenacia i contorni delle immagini proiettate, in modo sempre più frenetico ma al tempo stesso controllato, sapiente, come per catturarle prima che sbiadissero e lasciassero il posto alle altre. Una geografia di segni che sembravano scaturire da una sorta di rituale, presto trasformatosi in danza. Eccola allora trasformarsi in uno sciamano: vestita di maschere tribali si muove e agita strumenti come per evocare spiriti primordiali. Il suo è un viaggio verso le origini dell’umanità ed è lì che ci ha portati tutti, rendendoci inermi e senza risparmiarsi.

Ad accompagnarla lo strepitoso Jason Moran, affascinante plasmatore di suoni nel rincorrere i movimenti dell’artista con pianoforte e sintetizzatore.
In una parola: magnetici.


Guarda l'intervista a Joan Jonas:


venerdì 24 ottobre 2014

Dopo l'affaire McCarthy è iniziata ieri FIAC

Da Londra a Parigi senza passare dal via! Questa settimana tocca alla capitale francese entrare nel mirino di collezionisti e appassionati di arte contemporanea. Ha aperto ieri (e chiuderà domenica 26) FIAC, fra le fiere internazionali quella più in crescita negli ultimi tre anni, accompagnata dalla sorella minore (OFF)ICIELLE, che presenterà i migliori artisti emergenti.
Ecco una breve selezione di quello che troverete in città oltre la fiera e anche nei giorni seguenti.

Non c’è visita a Parigi che non includa in agenda una visita al Palais de Tokyo, che propone una collettiva intitolata Inside. Nomen Omen, dato che la mostra prevede opere di tipo installativo all’interno delle quali il visitatore è chiamato a entrare per un viaggio metaforico e rischioso. Fra gli artisti scelti: Christian Boltanski, Nathalie Djurberg & Hans Berg e Bruce Nauman. Insomma non proprio gli ultimi arrivati.

© Numen/For Use, Tape Tokyo. (2013) Photo : Junpei Kato courtesy Spiral/Wacoal Art Center
Alla Fondation Louis Vuitton si parla di architettura, con una mostra su Frank Gehry (tutto in famiglia, insomma) che va a completare la grande retrospettiva curata in contemporanea dal Centre Pompidou. Sempre al Beaubourg vi segnalo la mostra su Latifa Echakhch, vincitrice del Prix Marcel Duchamp lo scorso anno. A Milano l’avrete forse vista alla galleria Kauffmann Repetto. 

Altro appuntamento imperdibile alla Fondation Cartier pour l’art contemporain che presenta l’installazione site-specific dell’artista argentino Guillermo Kuitca, nata da un’idea di David Lynch, sempre più richiesto e un po’ prezzemolino negli ultimi mesi. Meritatamente. 

Guillermo Kuitca, disegno preparatorio per Les Habitants @ Fondation Cartier, 2014 © l'artista
Per gli amanti della videoarte l’appuntamento è prima di tutto al Jeu de Paume: Inventing the Possible è una selezione dei più interessanti e attivi artisti del genere. Al Musée d'art et d'histoire du Judaïsme è di scena l’artista israeliana Nira Pereg, con la sofisticata installazione dei due video Abraham Abraham e Sarah Sarah, girati presso la grotta dei patriarchi a Hébron in Cisgiordania.  

Per gli appassionati di arte africana, dopo la full immersione alla fiera londinese 1:54 consiglio l’evento Le Maroc Contemporain curato da l’Institut du monde Arabe, che prevede anche concerti, danze, conferenze e proiezioni.

FIAC esiste dentro e fuori la fiera grazie al progetto Hors les Murs, con interventi di diversi artisti contemporanei collocati nei siti storici del cuore di Parigi. Dove trovare le installazioni? Jardin des Tuileries, Jardin des Plantes e diversi spazi del Muséum national d’Histoire naturelle (Grande Galerie de l’Evolution, Grandes Serres e Ménagerie), Berges de Seine, metre vi ho già detto cosa penso dell’episodio accaduto all’opera di McCarthy a Place Vendôme. Fra gli eventi performativi è in programma anche la presenza di Joan Jonas, che martedì sera ha stregato l’Hangar Bicocca.

Tutte le info sulla fiera qui, bonne visite! 

martedì 21 ottobre 2014

Due intensissimi giorni a Londra per Frieze raccontati da un'amica


Ahimé non sono stato a Londra per Frieze, ma fortunatamente ho i miei personalissimi corrispondenti! Condivido quindi con voi il report scritto da Rischa Paterlini, che da diversi anni si occupa della collezione del mio amico Giuseppe Iannaccone, di cui vi ho già parlato. Direi che è il minimo, dato che è anche "colpa" loro se sono diventato collezionista!
Ecco il racconto di Rischa:

Appena atterrata all'aeroporto di London City, neppure il tempo di posare la valigia e mi si presentano due giorni no-stop full of art tra Frieze, fiere satellite, musei, case d’asta e gallerie da visitare. Di buon'ora faccio tappa alla Royal Academy of Arts per la grandiosa personale dedicata all’artista tedesco Anselm Kiefer. L’opera site-specific Ages of the World è un’esperienza incredibile. Ti ci puoi avvicinare così tanto che puoi sentirne l’odore, puoi sentire il peso del mondo sopra di te e puoi persino ascoltarla.

Anselm Kiefer, Ages of the world, 2014

Anselm Kiefer, The Language of the Birds, 2013
Passo a visitare il Turner Prize, prestigioso premio assegnato a un artista britannico sotto i cinquant'anni. I finalisti propongono progetti tra fotografia e video, installazioni e serigrafie. Vincerà il migliore il 1 dicembre ma personalmente, ad esclusione del lavoro di Duncan Campbell, non trovo nulla di così sconvolgente e così decido di tuffarmi nelle vedute di Turner dei primi dell'Ottocento al piano inferiore. Un diamante per i miei occhi che finalmente riescono a vedere nuova luce. Si è fatto mezzogiorno, varco i cancelli di Regent's Park: la terza edizione di Frieze Masters è lì. La giovane fiera offre il meglio dell'arte antica e moderna, determinando chiari spunti di riflessione sull'arte contemporanea. Tra antiche sculture lignee e tanta arte italiana mi si presenta uno spazio fuori dal tempo nello stand della Helly Nahmad Gallery: sulle pareti opere di Picasso, Mirò, Fontana, Burri, Morandi e un de Chirico del 1927 da perdere il fiato. Il tutto serve a creare uno spazio fittizio appartenuto a Corrado N. o più semplicemente "Il Collezionista". Un tuffo nel passato che sa tanto di futuro.
De Chirico @ Helly Nahmad Gallery per Frieze Masters
Dopo pranzo mi lascio coinvolgere dalla main fair che, con le sue 162 gallerie provenienti da tutto il mondo, è la regina della settimana artistica londinese. Le opere sono tante e in una ipotetica classifica inserisco al primo posto lo scultore Michael Dean, presente in ben due stand, alla galleria Supportico Lopez di Berlino di proprietà di due italiani e alla Herald St. Gallery di Londra. Sculture realizzate in cemento trasformate in opere sensuali e vive tanto che ti vien voglia di farti abbracciare. Ancora in classifica l'artista Luc Tuymans, presentato dalla Zeno X Gallery, la più importante galleria europea dedita alla pittura e che ben presto in Galleria ad Anversa presenterà nuovi lavori dell’italianissimo Pietro Roccasalva. Non solo opere, ma anche la simpatia dei galleristi della Antoine Levy Gallery di Parigi che non appena mi vedono mi presentano una spettacolare quanto poetica anteprima del nuovo catalogo di Francesco Gennari. Un libro d’artista che farà molto parlare di sé e che verrà presentato ufficialmente il prossimo venerdì nel loro stand presso la FIAC di Parigi. La sera, dopo aver visitato la fiera satellite Sunday che non rapisce i miei pensieri, mi dirigo con un’amica nel mio ristorante preferito. Vera cucina indiana a due passi dal centro.

Michael Dean, nnhnhn (working title), 2013
È di nuovo giorno e dopo colazione mi dirigo in New Bond Street nella sede di Sotheby’s a curiosare tra le tante opere esposte. Ripasso dalla fiere per rivedermi alcune opere e uscendo passo per il giardino all'inglese di Regent's Park, spazio di esposizione pubblica, con le grandi sculture divertenti e colorate protagoniste di numerosi selfie, in stretto dialogo con piante secolari, cespugli intagliati e fiori autunnali. Nel pomeriggio visito due mostre che meriterebbero ben più di una semplice citazione: la personale di Andro Wekua intitolata Some Pheasants in Singularity alla Spruth Magers LondonWangechi Mutu con il suo show dal titolo impronunciabile Nguva na Nyoka da Victoria Miro. Per non perdermi niente corro anche alla Serpentine Gallery dove troppo concettualismo rende la mostra davvero non classificabile. E’ deludente anche l’ultima tappa della giornata: la mostra alla Saatchi Gallery, Pangaea: New Art from Africa and Latin America, dove i continui riferimenti all’arte americana e all'arte passata non riescono a emozionare e a dire qualcosa di nuovo. Peccato, un’altra occasione persa.

Due giorni vissuti intensamente in una Londra che è tappa fondamentale per chi ama l’arte e che offre alla velocità della luce qualità e originalità.