mercoledì 19 novembre 2014

Settimana intensa a Milano per le gallerie: ecco una selezione di ciò che non dovreste proprio perdere!

Archiviata la serie di fiere internazionali, non c’è riposo per le gallerie milanesi che ripartono con il secondo opening autunnale. Ecco qualche indicazione sulle mostre che di certo non perderò.


Ha aperto le danze ieri Riccardo Crespi, con la seconda personale di Roee Rosen in Italia. L’artista israelo-americano mi piace molto per due motivi: la ricchezza dei suoi progetti, che incrociano spesso medium e tecniche differenti e l’ironia intelligente con la quale gioca a esplorare le zone di confine dell’identità creando diversi alter ego, tutti con un atteggiamento politicamente scorretto. Protagonista di questa mostra è Maxim Komar-Myskin, presunto artista ex- sovietico e paranoico che tortura e punta all’assassinio di Vladimir Putin per mezzo di oggetti animati.


Oggi tocca a Massimo De Carlo, che presenta per la seconda volta a Milano le opere di Marvin Gaye Chetwynd. L’artista inglese si trasforma in una burattinaia che dà vita a performance surreali e senza regole, dove le categorie di spazio e tempo vengono meno e lo spettatore si trova in bilico fra una scenografia teatrale e una seduta psicanalitica. Preparatevi a mettere in discussione ogni singolo aspetto della vostra vita.


Inaugura questa sera anche la prima personale dell’artista rumeno Serban Savu, uno degli esponenti più importanti del celebre gruppo di pittori di Cluj-Napoca da Monica De Cardenas. I suoi dipinti ritraggono con un punto di vista rialzato e distante la realtà quotidiana in Romania: palazzi di cemento, dighe, ponti e altre infrastrutture sono il segno tangibile del passato comunista del paese.


Raffaella Cortese sceglie invece per la serata di giovedì 20 l’artista francese Mathilde Rosier, il cui lavoro si concentra sulla danza, la musica e la gestualità. I suoi ballerini diventano acrobati con il pretesto di ragionare sul tema della caduta come perdita del comune senso di percezione, una confusione che porta a un momentaneo smarrimento d’ell’identità sia personale che collettiva, ma che al tempo stesso può essere un pretesto per rinascere e diventare altro. Non mancate alla performance che l'artista ha preparato per l'inaugurazione!
Lo spazio di via Stradella 1 ospiterà T.J. Wilcox che presenta per la prima volta il film The Tales of Hoffmann, con musica e voci del Metropolitan Opera di New York.


Sempre domani sera alla galleria kaufmann repetto aprirà la mostra intitolata Model, personale di Talia Chetrit. Fotografie e video sono chiamati a svelare le dinamiche segrete che si instaurano fra soggetto e fotografo. I protagonisti inconsapevoli sono infatti i genitori dell’artista, ripresi nella consapevole e completa violazione dell’intimità familiare. La narrazione di ciò che accade dietro le quinte dello shooting mostra ciò che normalmente rimane fuori dalla fotografia. I lavori svelano la visione dell’artista, innocente e voyeuristica, una curiosità alla ricerca di forme e legami, e che ci permette di cogliere gli sguardi tra i genitori, espliciti e intimi, le loro pose davanti alla macchina fotografica, e il loro atteggiarsi a modelli.

Insomma, c'è l'imbarazzo della scelta e come sempre Milano si conferma frizzante. Buon tour!


Tutte le info in breve:
Galleria Riccardo Crespi
via Mellerio 1
Milano
Pasta alla Putinesca. "Vladimir’s Night" e "Astrological Paranoia”
19 Novembre 2014 - 17 Gennaio 2015

Massimo De Carlo
Via Giovanni Ventura 5
Milano
Marvin Gaye Chetwynd. Bat Opera 2
20 novembre – 10 gennaio

Galleria Monica De Cardenas
Via Francesco Viganò 4
Milano
Serban Savu. Sometimes my Eyes are the Eyes of a Stranger
19 novembre - 17 gennaio 2015

Galleria Raffaella Cortese 
Via Stradella 1, 4, 7
Milano
Mathilde Rosier e T.J. Wilcox
20 novembre 2014 - 14 febbraio 2015


kaufman repetto 
Via di Porta Tenaglia 7
Milano 
Talia Chetrit. Model
21 novembre – 10 gennaio

venerdì 14 novembre 2014

Toots Zynsky a Palazzo Loredan a Venezia

È possibile coniugare la storia con il contemporaneo? Certo, anzi ben vengano queste contaminazioni quando il risultato si avvicina alla proposta di Caterina Tognon, che a Venezia ha coinvolto l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti per una mostra personale dell’artista americana Toots Zynsky (Boston, 1951).



Camminando attraverso le stanze del quattrocentesco Palazzo Loredan in Campo Santo Stefano potrete osservare fino all’8 dicembre le sue eleganti ciotole in vetro, nate da trent’anni di sperimentazione sulla manipolazione artigianale del materiale, dalla soffiatura alla colatura fino alla vetrofusione, che l’hanno condotta all’invenzione della tecnica filet-de-verre. Grandi quantità di sottilissimi fili di vetro colorato (proveniente da Murano, of course) vengono sovrapposti su un piano di ceramica refrattaria come fossero i contorni di un disegno. Quando l’immagine la soddisfa, l’artista avvia la fase di termofusione in un forno elettrico, dove i fili sono ancora sotto forma di un’unica lastra. È qui che interviene il talento: Toots Zynsky plasma la materia lavorandola manualmente, creando onde e curvature dalle forme che hanno un che di barocco, capovolgendo talvolta le ciotole per permettere alla forza di gravità di agire.
 


Se dovessi definire Zynsky con una parola direi.. tenace. Per decenni ha rincorso l’idea di poter partire dai filamenti colorati per ottenere questi oggetti tridimensionali, vere e proprie sculture astratte di vetro, attraverso le quali indaga la relazione estetica fra interno ed esterno, quasi a voler vincere la sfida di riuscire a percepire l’idea del vuoto e del pieno contestualmente. Proprio su questo rapporto si giocano non solo l’ideazione e la realizzazione delle ciotole, ma anche la loro fruizione. Parafrasando Arthur Danto, possiamo immaginarle come dei fiori che stanno per sbocciare, dei quali desideriamo godere tanto dei morbidi e coloratissimi petali quanto del loro cuore.





Vi invito a non lasciarvi scappare l’occasione di poter visitare gratuitamente uno dei più bei palazzi di Venezia, perdendovi fra libri e mobili antichi e lasciandovi rapire dalle macchie di colore di Toots Zynsky.


Toots Zynsky a Palazzo Loredan
Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia
fino all'8 dicembre 
tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00
Progetto: Caterina Tognon


mercoledì 12 novembre 2014

La mia pagella per Artissima 2014

Come ho scritto qualche giorno fa nella mia breve guida, Artissima a Torino è un appuntamento imprescindibile, la fiera italiana più frizzante e attiva che non manifesta per niente la sua età. Nata nel 1994, quando le fiere erano pochissime e a frequentarle erano solo pochi addetti ai lavori, dimostra dopo vent’anni di essere ancora attenta alle novità.

Da quello che ho potuto vedere in una toccata e fuga rapidissima la caratteristica principale di questa edizione è stata la presenza importante di gallerie straniere, provenienti dal Sudamerica e all’Est Europa, molte alla loro prima apparizione torinese. Un ottimo segnale che conferma la lungimiranza degli organizzatori e anche un po’ di coraggio, data la tendenza di molti collezionisti italiani ad acquistare Made in Italy quando restano nel proprio paese, come confermano molti galleristi. Nel complesso darei quindi un 8 alla selezione delle gallerie della direttrice Sarah Cosulich Canarutto.

Voto 7 e mezzo alla qualità delle opere: grandi nomi e grandi conferme, molta varietà, ma niente che mi abbia rubato il cuore e soprattutto niente che i miei occhi non avessero già visto ultimamente. Mi è parsa una fiera piuttosto prudente sotto questo aspetto e in alcuni casi l’eterogeneità delle proposte negava la possibilità di trovare un filo rosso nello stand. Pochi i concept veramente forti e innovativi, ciononostante ho trovato che molti stand riuscissero ad essere eleganti come ad esempio quello di Tucci Russo, una garanzia.


Di conseguenza do un 6 e mezzo alla sezione Present Future: non ho avvertito tutta quella spinta alla sperimentazione promessa dai comunicati pre fiera.

Al contrario, do un bell'8 e mezzo alla sezione Back to the Future: vien da sé che in momenti di crisi è più facile guardare al passato, ma alcuni spazi come quello di Camera 16 dedicato interamente a Ugo La Pietra meritavano veramente di soffermarsi. Fra l'altro, come è già successo a Londra per Frieze Masters, pare che sia la sezione con i migliori risultati di vendita. Inserirei honoris causa anche lo stand di Caterina Tognon in questa sezione (anche se ufficialmente si trovava nella main section) per la sua scelta di proiettare i visitatori nella Praga anni Settanta grazie agli splendidi vetri di Cigler e alle fotografie di Jan Svoboda, poeta di nature morte.

Voto 9 alla scelta di inserire finalmente una sezione dedicata alla performance con Per4m, inaugurata da Marcello Maloberti sulla scia del lavoro presentato all’ultima Biennale di Venezia e molto chiacchierata grazie a Nico Vascellari che si è gettato fra le auto in corso nel piazzale del Lingotto con una scioccante indifferenza.

Ecco una breve carrellata di scatti che ho fatto qua e là. Enjoy!

















giovedì 6 novembre 2014

Sei a Londra? Non perdere Cerith Wyn Evans alla Serpentine!

L'avevo segnalata anche nel mio vademecum per Frieze e pubblico oggi qualche foto in più per ricordare a chi non sarà a Torino ma ha la fortuna di essere a Londra nel weekend di non perdersi la mostra di Cerith Wyn Evans alla Serpentine Gallery che chiude questa domenica.
Il suono e la luce diventano per Wyn Evans medium intangibili ma allo stesso tempo pervasivi, come in una passeggiata coreografica attraverso gli spazi della galleria illuminati da scenografici lampadari e frasi al neon che parlano e scorrono come un fregio greco.











mercoledì 5 novembre 2014

Novembre: tempo di pioggia ma anche di Artissima

E così novembre è arrivato. Ha portato con sé una pioggia torrenziale, è vero, ma questo non ci impedirà di trascorrere il prossimo weekend a Torino. La città è già in fermento, è tempo di Artissima. Da sempre è la fiera che preferisco: vicina ma non provinciale (la prova che anche in Italia gli eventi possono essere di qualità), fresca e giovane nelle proposte, ma allo stesso tempo solida e affidabile.

Per prepararci a questi giorni intensissimi ecco come di consueto una breve guida a ciò che circonda la main fair, dove troveremo le gallerie più interessanti a livello internazionale e la sezione new entries, dedicata alle gallerie più giovani. Confermate anche le ormai classiche Back to the Future (perché un po’ di nostalgia per il passato c’è sempre) e Present Future (piattaforma di lancio per i nuovi talenti).

Novità di quest’anno è Per4m, la sezione dedicata alla performance introdotta anche dall’ultima edizione di Frieze con Live. 16 lavori performativi, 4 per ogni giornata di apertura della fiera, verranno presentati in una location dedicata dell’Oval per dare spazio a quegli artisti che utilizzano la performance come medium privilegiato o comunque in modo continuativo. A Per4m è associato anche un premio assegnato dalla giuria internazionale, non vedo l’ora di conoscere il vincitore!

I tre curatori di Shit and Die a Palazzo Cavour
Fuori fiera: da non perdere la già chiacchieratissima mostra curata da Maurizio Cattelan (con Myriam Ben Salah e Marta Papini) nello storico Palazzo Cavour: Shit and Die è il titolo provocatorio ispirato a un neon di Bruce Nauman e scelto dall’ex artista (o almeno così gli piace farci credere) per raccontare in sette sezioni diversi aspetti della città di Torino, come il suo passato di città industriale ormai in declino, la fascinazione per il collezionismo, il feticismo per gli oggetti, insieme al lavoro di artisti torinesi e produzioni site specific, commissionate per l'occasione. Protagoniste la vita e la morte, da cui nessuno, né noi né Nietzsche né Camillo Cavour ha scampo.

Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo continuano le tre mostre in corso: la collettiva Beware Wet Paint, una riflessione sullo stato della pittura contemporanea e i solo show del giovane David Ostrowski (1982, Colonia) e di Isa Genzken (1949, Bad Oldesloe).

Al Castello di Rivoli proseguono le mostre Intenzione manifesta. Il disegno in tutte le sue forme e la personale di Sophie Call MAdRE. Da venerdì saranno visibili anche le opere realizzate grazie al  Premio Illy 2013, aggiudicato ex aequo all’artista francese Caroline Achaintre e a Fatma Bucak, di nazionalità turca, selezionate nell’ambito della scorsa edizione di Present Future di Artissima.

Appuntamento con i Masbedo alla Fondazione Merz
La Fondazione Merz presenta un progetto dei Masbedo, Todestriebe: i 9 video - alcuni inediti, mentre altri ripercorrono la carriera della coppia di artisti - sono concepiti come un’unica grande installazione in cui immergersi completamente per riflettere sul tema dell’incomunicabilità. Il progetto nasce sulla scia di The Lack, primo film dei Masbedo, presentato recentemente alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Giornate degli Autori. Come da tradizione la Fondazione ha invitato il duo a dialogare con la figura e l’opera di Mario Merz: prendendo spunto dal video Lumaca, realizzato da Gerry Schum nel 1970, in cui l’artista torinese disegna una spirale su un vetro è nata un’opera collettiva dal formato installativo che coinvolge diversi video artisti internazionali (tra cui Jan Fabre, Marzia Migliora, Catherine Sullivan, Nicolas Provost, Sigalit Landau, Shaun Gladwell, Damir Ocko, Emmanuelle Antille, Rä Di Martino, Gianluca e Massimiliano De Serio).

Per i più “selvaggi” torna per il quinto anno The Others, la sezione off della fiera riservata a tutti gli operatori (spazi espositivi anche no profit, fondazioni, curatori, progetti editoriali e quant’altro) la cui programmazione è dedicata esclusivamente ai giovani artisti, chiamati a indagare The Wild Side. Nell’ottica di superare il classico concetto di stand fieristico e generare un percorso di visita vario, dinamico e il più ampio possibile il fee di partecipazione è stato notevolmente ridotto in modo da coinvolgere più realtà.

In ultimo, per gli amanti della storia dell’arte è riconfermata Flashback, con un fitto panel di incontri sul restauro, sulla convivenza di antico e contemporaneo, sulle potenzialità della rete e sulle agevolazioni fiscali per l’aquisto o la donazione di opere d’arte (bel tema!). Non mancherà anche qui il coinvolgimento performativo con due interventi dell’artista Alessandro Bulgini domani e venerdì alle 17.00.

Ci vediamo a Torino!

domenica 2 novembre 2014

Cosa penso di Art or Sound alla Fondazione Prada di Venezia

Art or Sound, la mostra curata da Germano Celant alla Fondazione Prada di Venezia chiude domani. Ha accompagnato l’estate della Laguna come curioso e saporito contorno della Biennale Architettura e come da copione ha diviso la critica fra detrattori ed estasiati sostenitori. È chiaro che in medio stat virtus, quindi ecco cosa penso di una mostra che ha sicuramente degli aspetti da migliorare, ma che ritengo vada premiata.

Andiamo per ordine e partiamo dal concept. L’idea di Celant era quella di indagare il rapporto fra arte e suono non in quanto antitesi (nonostante la congiunzione avversativa del titolo, al quale forse avrei aggiunto un punto di domanda), bensì come potenziale dialogo fra la dimensione puramente visiva del nostro meccanismo di conoscenza e la necessità di stimolare anche gli altri sensi. L’udito, ovviamente, ma anche il tatto, premiando la multisensorialità e invitando lo spettatore all’interazione. Un progetto indubbiamente affascinante e ambizioso, un lavoro di ricerca al quale forse ci stiamo disabituando, dove vengono coinvolti nomi talvolta un po’ scontati e altisonanti, ma anche qualche più giovane e interessante scoperta. Primi punti a favore.

Art or Sound, installation view, foto Attilio Maranzano, courtesy Fondazione Prada
Certo, nell’immensità del tema scelto e del periodo preso in considerazione (si va dal Cinquecento ai giorni nostri, passando ovviamente per le avanguardie) era inevitabile incappare in qualche scivolone e in alcune promesse disattese. Per quanto gli spazi fossero ampissimi (perché per la prima volta estesi anche al secondo piano nobile della sede di Ca’ Corner della Regina), l’impressione talvolta era quella di trovarsi costretti a causa dell’innumerevole quantità di strumenti e opere scelte, col rischio di sentirsi proiettati in un mercatino dell’antiquariato. Una pecca che comunque si può perdonare: non capita tutti i giorni di aggirarsi fra fabbricati preziosi, automi, orologi, gabbie per uccelli canori, carrozze con organi e dispositivi musicali automatici del XIX secolo. Una sorta di wunderkammern che proprio per definizione può essere ridondante e stipata di oggetti.

Art-or-Sound, foto Attilio Maranzano, courtesy Fondazione Prada
Dal punto di vista del percorso storico è difficile seguire la linea del tempo, ma dubito fosse negli intenti di Celant che dichiaratamente aveva l’intenzione di uscire dalla museologia tradizionale. Non manca niente: dall’intonarumori di Luigi Russolo ricostruito da Pietro Verardo, ai metronomi di Man Ray (Indestructible object, 1923) e Salvador Dalì (1944), attraverso le sperimentazioni di John Cage, Fluxus, i nouveaux realistes fino ai più contemporanei Martin Creed, Céleste Boursier-Mougenot e Haroon Mirza. La lista sembra infinita ed è davvero difficile scegliere a causa dell’eterogeneità e dell’abbondanza delle proposte. C'è anche uno dei miei artisti preferiti, ovviamente indiano: Subdoh Gupta, con Jutha (2005), tre lavelli di acciaio inox contenenti utensili di alluminio rubati alla vita quotidiana, che producono suoni grazie ad alcuni altoparlanti. Una riflessione sui profondi cambiamenti sociali ed economici del suo paese d'origine.

Subdoh Gupta, Jutha, 2005 @ Art or Sound, Fondazione Prada Venezia
Manca l’interazione promessa, ho letto e sentito da qualcuno. Effettivamente in confronto ai 180 pezzi esposti sono poche le opere che invitano il pubblico a interagire e ad azionarle. Fra queste c’è Laurie Anderson con il suo Handphone Table, un tavolo di legno che trasforma i nostri avambracci e le mani in conduttori di suono, se vi appoggiamo i gomiti. C’è la delicata scultura-strumento di Doung Aitken, Marble Sonic Table: un altro tavolo, attorno al quale i visitatori sono invitati a sedersi e picchiettare su delle lastre di marmo che producono dei suoni come fosse uno xilofono. 

Il funzionamento di Handphone Table di Laurie Andreson, 1979
 C’è poi la consolle di Carsten Nicolai (conosciuto anche come Alva Noto) dove abbiamo la possibilità di sperimentare infiniti soundloops con 4 piatti di giradischi integrati. O meglio, "avremmo la possibilità": nel corso della mostra è stato necessario negare l’attivazione da parte del visitatore, al quale non restava che ascoltare in cuffia i suoni scaturiti dai movimenti di un addetto alla sala poiché l’opera è stata danneggiata. Ecco, forse il pubblico non è ancora pronto all’interazione rispettosa e permettere di toccare e manipolare tutti gli strumenti avrebbe generato una sorta di ingestibile circo, favorendo l’entertainment piuttosto che la riflessione sulla ricerca e sul valore della mostra. Perfettibile, ma sicuramente degna di essere vista. E sentita.

 
Concerto con l'intonarumori di Luigi Russolo: