martedì 23 dicembre 2014

La cultura iraniana in mostra al MAXXI di Roma


Una delle mostre che più mi incuriosisce e che spero di poter visitare presto ha inaugurato una decina di giorni fa a Roma, proprio mentre trapelavano nuovi scandali e fiorivano le indagini. La ospita il MAXXI, museo che genera sempre molte aspettative salvo poi spesso deluderle. Spero non sia questo il caso, ma mi pare che le premesse siano ottime dato che si tratta di una coproduzione con il Musée d’Art Moderne de la Ville de Parisattraverso il team di curatori Catherine David, Odile Burluraux, Morad Montazami, Narmine Sadeg e Vali Mahlouji.

Ad attirarmi è chiaramente il tema: Unedited History. Iran 1969-2014 racconta attraverso 200 opere la cultura visuale dell'Iran dagli anni Sessanta ad oggi. Questo numero mi spaventa, temo il rischio della dispersione, ma la suddivisione in diverse sezioni mi sembra possa agevolare la fruizione. Il concept della mostra si esprime nel titolo, che vuole dare l'idea di una storia raccontata in maniera oggettiva perché "unedited", non montata, come si direbbe nel linguaggio cinematografico. Solo mettendo insieme i frammenti si ricompone il discorso.

Morteza Avini
Morteza Avini, Aqiqat, 1980
La prima sezione racconta gli anni della “modernizzazione” dal 1960 al 1978, quando in Iran la cultura si sviluppa notevolmente grazie alla nascita di eventi di rielievo internazionale, come le biennali e di istituzioni come il Museo d'Arte Contemporanea di Teheran. Sono gli anni in cui gli intellettuali iraniani ragionano sulla definizione di un'arte non occidentale o non occidentalizzata. Domina la sezione Bahaman Mohassess (1931-2010), nei cui dipinti è chiara la provenienza dal mondo della scultura e dove Roma è protagonista. Proprio nella città eterna Mohassess ha studiato e sceglie di vivere auto isolandosi fino alla morte avvenuta nel 2010.
Kaveh Golestan
Kaveh Golestan
La seconda sezione riguarda gli anni della Rivoluzione e della guerra Iran-Iraq fra il 1979 e il 1988. In questo periodo si sviluppano in modo particolare le pratiche legate alla documentazione attraverso fotografia, video e cinema, dove nascono per la prima volta scene di mobilitazioni di massa. La forte contrapposizione alla lettura ufficiale degli eventi nascono piccole realtà clandestine che si occupano anche di archiviare il materiale di protesta. Il reportage diventa più crudo e realistico nel video di Morteza Avini (1947-1993), Haqiqat (Verità), realizzato usando una telecamera portatile e intervistando attraverso una voce fuori campo quei soldati destinati a sacrificarsi per gli ideali della Rivoluzione.

L'ultima sezione cerca di individuare le prospettive contemporanee, dalla fine della guerra con l'Iraq a oggi (1989-2014). Le nuove generazioni di artisti sono sempre più attirate dalla cultura europea e si trasferiscono in Europa alla scoperta di un approccio all'arte più aperto di quello appreso in Iran fino agli anni Ottanta. Gradualmente il capitalismo cerca di integrarsi alla cultura islamica e anche chi sceglie di rimanenere in patria guarda alle richieste del mercato internazionale. Resta forte la tradizione della fotografia documentaria nata negli anni Settanta, in opposizione alle immagini della moda e della pubblicità, con gli eredi di Bahman Jalali e Kaveh Golestan
Barbad Golshiri
Barbad Golshiri, Tomb sans titre, 2012
Sono curioso di vedere dal vivo l'opera di Barbad Golshiri (1982), artista che grazie a Claudia Gian Ferrari ho avuto modo di conoscere ancora in tempi non sospetti per la mia avventura da collezionista. Si tratta di un omaggio a un uomo morto per motivi politici, tema assai caro a Golshiri, per il quale ha costruito una tomba-sarcofago sotto forma di stencil di ferro, costituito da lastre trasportabili che creano una lapide temporanea il cui epitaffio si ottiene spargendo la lastra di cenere e lasciandone quindi il segno sul pavimento. Poesia pura.
La mostra è aperta fino al 29 marzo 2015, non perdetela.



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