La mostra è di ampio respiro, con installazioni di forte impatto ma anche video e fotografie di performance che ricordano il perché del titolo. Tatuare significa lasciare un forte segno, così come l'arte cubana ha fatto nel panorama internazionale, ma rimanda anche al corpo. Molti degli artisti invitati a partecipare alla mostra hanno fatto del corpo il loro mezzo espressivo prediletto, straziandolo con azioni performative o fotografandolo e disegnandolo.
Nella mia collezione non ci sono artisti di origine cubana, ma devo dire che questa mostra ha aperto il mio sguardo su una realtà importante, feconda e creativa che grazie al PAC comincerò ad osservare con più interesse.
Tra gli artisti che più mi hanno colpito Susana Pilar Delahante Matienzo, che riflette sulla condizione femminile, l'installazione site specific di Humberto Diaz, che trasforma il cortile del PAC in una sorta di gabbia, Luis Gomez Armenteros e le sue domande provocatorie (Would you like to buy my misery? incide sulle pareti del PAC), oltre che i più "mainstream" Felix Gonzalez-Torres e Wilfredo Prieto.